mercoledì 6 aprile 2011

Umiliazioni.

Avevo valutato margini d’errore, cronometrato tempi e redatto testamenti nel caso tutto fosse finito male. Così uscii di casa con la calma del serial killer, in punta di piedi, attento a non fare rumore e a non far scricchiolare le viti dentro le ginocchia. Il parquet non mi tradì, la porta blindata non cigolò, mia sorella più piccola dormiva placida sul divano ancora stordita dalla morfina.

Il biglietto per mia madre era sul tavolo: sono andato a rastrellare i molisani, torno per pranzo, con disegnato alla buona un cartina dell’Italia con un buco sopra la Puglia. Controllai di avere il documento per passare i controlli in tranquillità. Ispezionai le tasche per vedere se c’era tutto ciò che serviva. Chiamai il mio alibi per verificare fosse sveglio e pronto a reggermi il gioco. La posta in palio era alta e le precauzioni non mi sembrarono affatto scontate.

- Vittorio, ci sei?

- Sì. Ma se ci scoprono sono cazzi.

- Non ci pensare, sarà come invadere l’Alsazia. Me lo sento.

- Hai sentito anche La Merda?

Gaetano La Merda lavorava per la compagnia telefonica. Aveva il compito di cancellare il traffico dal mio telefono per quelle due ore e fare in modo che il mio telefono, in caso di tentativo di rintracciamento, risultasse muoversi velocemente a lisca di pesce per le strade della città. Dovevo pur sempre rastrellare.

Anche Gaetano era operativo: toccava a me.


Andò tutto per il meglio. Tutto liscio senza sbavature. Ero contento, l’avevo fatta franca, il mondo mi sorrideva dopo settimane di tensione in cui avevo dovuto conciliare il timore di non farcela con la paura di venire scoperto. In preda ad emozioni allucinogene ripercorsi il viale di casa immaginandomi figure mitologiche come centauri, meduse e professori ordinari che attraversavano la strada; chimere e corsidilaurea volteggiavano tra i pioppi e dalle case di marzapane e crediti uscivano omini graziosi festosi e tirocinanti.

Ma alle soglie di casa il sogno si ruppe.

Vittorio e Gaetano erano imbavagliati e legati ai ciliegi nel giardino. Navarro, il filippino, non appena mi scorse chiamò mia madre dentro casa. Uscirono tutti e due. Mio padre era scuro in volto, anzi livido, un Idris del rancore con le mani in tasca per precauzione e mia madre nascondeva le lacrime dietro la spalla del marito. Era finito tutto. Sapevano.

- Dove sei stato - chiese mio padre senza porre domande.

- Credo tu lo sappia, Idris - risposi con un rantolo d’orgoglio.

- Invece no! Non lo so! E anzi voglio che quelle fottute parole escano dalla tua bocca di ladro, voglio che ti vergogni davanti a tutti e che strisci per implorare il mio perdono, voglio che impari una volta per sempre, voglio che il biasimo della collettività ti faccia passare questo vizio!

Mia madre ritenne elegante sintetizzare l'acredine.

- Ci fai schifo.

- Avanti, sputa!

- Cosa aspetti, merda? - anche i vicini avevano preso parte alla lapidazione.

- CHE COSA HAI FATTO, BUGIARDO? DILLO!

Non c’era più nulla da fare e Budda mi era testimone che avevo tentato tutto il possibile, che mi ero anche umiliato e anche che stavolta sarebbe stata davvero l’ultima. Così feci un gran respiro, dilatando le narici andai incontro alla vergogna inossidabile e mi preparai a cancellare una parte della mia vita.

- Mamma. Papà. Ho fatto l'idoneità linguistica.


Uno studente si prepara
al test d'Idoneità Linguistica

Tomas T.