mercoledì 21 aprile 2010

A volte ritornano

Mentre giocavamo a fare i ragazzi informati, che leggono il loro bel quotidiano e discutono poi delle attrattive musicali dello "Sziget Festival" di Budapest, fummo interrotti da un tizio di nero vestito. Aveva con sé un bastone, sulla testa una coppola rigorosamente nera, e dei guanti in pelle di terrone. "Salve, sono il professore".
Scompiglio. "Chi?! Cosa?! Un professore qui?! No no, lei ha sicuramente sbagliato palazzo".
Il prof aveva una faccia tirata, tirata fuori da un noir tedesco degli anni '80. Guardava solo dinanzi a sé. Non declinava lo sguardo verso le nostre reazioni simpaticamente sorprese, divertite nel confutare la sua convinzione. Fissava un punto al centro del vuoto, taciturno e immobile, mentre noi tutti riprendevamo i nostri gargarismi intellettuali.
Ad un certo punto un ragazzo gli si parò davanti con l'innocenza di un cane che si accinge a pisciare sulla ruota dell'auto del suo padrone, e con tono amichevole gli disse: "Guardi, ci dissero ad ottobre che sarebbe dovuto arrivare qualche professore, ma a dire il vero iniziamo a pensare che siano tutti morti perché qui di prof non se n'è vista neanche l'ombra". Poi però inizia stranamente a scaldarsi: "Diavolo di un papa!..Aspetti, si faccia osservare un po' meglio: certo, ma lei è proprio il professor Pietr.."
Ecco, non fece in tempo a terminare il lavoro ondulatorio della lingua sotto al palato per pronunciare la erre, che il bastone del prof gli percosse prepotentemente la mandibola con la stessa velocità con cui Ghemon troncherebbe una sigaretta di Jigen.
Scioccati, respiravamo affannosamente. Il prof riprese il suo lento ma implacabile procedere verso la cattedra. Pareva un carrarmato. Una ragazza, fiera oppositrice di tutte le ingiustizie, tentò di sbarrargli la strada per chiedergli conto di quel colpo violento e assassino inferto al giovane collega, ma si ritrovò addirittura ad essere malamente calpestata. Si spense anch'essa lì in aula, e fummo costretti a consegnarla ai suoi cari avvolta in alcune pagine del "Riformista". I genitori non ce lo perdoneranno mai.
Allora il prof si sedette alla cattedra e si rivolse così verso gli studenti che lo guardavano attoniti: "Salve ragazzi, sono il professor Pietro Viadaunmese."
Cazzo era proprio lui, il professor Viadaunmese! Ne avevamo sentito parlare spesso, ma non aspettavamo di trovarcelo in aula da un mese all'altro. Avremmo voluto chiedergli subito il perché di quella violenza verso i nostri due colleghi, ma il prof ci anticipò: "Mi spiace per i vostri compagni. Forse erano bravi ragazzi, forse no. Sicuramente sarebbero stati dei disoccupati. Non avrei desiderato ucciderli, non sono un uomo violento. Però non volevo che qualcuno guastasse il mio ritorno in grande stile svelando subito la mia identità o interrompendo la mia marcia trionfale verso la cattedra."
In fondo eravamo contenti, noi sopravvissuti. Certo ci dispiaceva per i due caduti in battaglia, morti per salvaguardare l'onore delle apparenze nell'università italiana, e ai quali "la Sapienza" ha però promesso di dedicare quattro mattonelle del pavimento dell'aula. Ma eravamo contenti perché finalmente si materializzava un prof tutto nostro pronto a parlare, a spiegare, a istruire.
Fu così che Pietro Viadaunmese iniziò la sua lezione con le parole: "Ragazzi, per oggi direi di fermarci qui!". Erano passati sette minuti..

Tomas T.